No, non c’entra niente il calendario cinese, secondo il quale ci troviamo nell’anno del drago fino al 28 gennaio 2025 del calendario gregoriano e che in ogni caso non contempla la marmotta tra i suoi anni-animali.
No, il riferimento è ovviamente al “giorno della marmotta”, espressione che nel linguaggio comune è diventata sinonimo di circolarità temporale, ripetitività, corsi e ricorsi quotidiani. Tutto per colpa di un film, Groundhog Day (Ricomincio da capo nella versione italiana), protagonista Bill Murray, una commedia che si richiama a una famosa credenza-ricorrenza sul comportamento delle marmotte in inverno, che poi non ha nemmeno una base scientifica.
Qui però estendiamo la ricorsività alla scala annuale. L'occasione è data da una non-notizia: il 2024 è l’anno più caldo mai registrato. Ruba così il primato al 2023, il precedente anno più caldo registrato che s’è goduto per poco, poverino, il primo posto di questa non allegra classifica.
Il fatto è una non-notizia per almeno un paio di ragioni.
La prima è che, in pratica, lo si sapeva da mesi. La probabilità che il 2024 sarebbe diventato l’anno più caldo registrato erano apparse altissime, praticamente del 100%, già l’estate scorsa, che secondo la NASA è stata la più calda mai registrata.
La seconda ragione per cui questo fatto è una non-notizia è che è letteralmente così. L’annuncio di ieri, 10 gennaio, mi pare abbia avuto un rilievo piuttosto scarso sui siti di quotidiani e agenzie. I soliti articoli, con tagli piuttosto bassi.
Posso capirlo. Ormai questi record climatici sembrano sempre uguali. Prima il 2023, ora il 2024. Record della marmotta, appunto. La solita solfa, che non smuove di un nanometro le reazioni della gente. Gli allarmati rimangono allarmati e i negazionisti rimangono negazionisti. Tutti uguali a se stessi. Marmotte. Anche il ciclo della notizia. Notizie della marmotta. Una marmotta generale.
Lo stesso dicasi per chi, come me, dovrebbe parlare alla gente di queste cose, immersi come tutti in tale condizione marmottesca.
Le considerazioni da fare, in merito all’anno più caldo, sono identiche a quelle fatte all’inizio dello scorso anno. Potrei limitarmi a copiarle, cambiando l’anno, reiterando anche le frasi motivazionali di circostanza, come quella in cui dico che possiamo ancora scegliere il nostro futuro.
Identiche sono anche le precisazioni su come debba essere inteso quel “più caldo mai registrato” di fronte al quale, ogni dannata volta, i buontemponi replicano “ah ma allora non è il più caldo in assoluto”, detto come se tutti gli altri non ci fossero arrivati, come se avessero sciolto ogni nodo filosofico che si prova a sbrogliare dai tempi di Aristotele e Platone.
Ripetiamolo, dunque: “più caldo mai registrato” significa che si riferisce al periodo per cui abbiamo archivi abbastanza completi delle registrazioni strumentali delle temperature a livello globale, cioè più o meno dalla metà del XIX secolo. Esistono archivi locali più antichi, come la serie delle temperature mensili dell’Inghilterra Centrale, che parte dal 1659. Questi archivi forniscono informazioni utili, ma per ricostruire il clima che doveva esserci in periodi molto precedenti all’era dei termometri (secoli, millenni, milioni di anni fa) dobbiamo affidarci ad altre fonti e indicatori. Di ciò si occupano la climatologia storica e, soprattutto, la paleoclimatologia.
Ma più di 150 anni sono sufficienti per accorgersi di una tendenza climatica come quella attuale. Il fatto che tutti gli ultimi 10 anni siano i più caldi finora registrati è una limpida evidenza del riscaldamento globale ed è un dato molto più importante da tenere a mente di questo o quell’effimero record. Il 2025 potrebbe posizionarsi al secondo o al terzo posto, poco importa, la cosa importante è che sarà tra i più caldi.
La Terra è stata molto più calda in passato - altra considerazione della marmotta - ma questo, invece di consolarci, dovrebbe farci preoccupare ancora di più. Noi umani ci siamo abituati a vivere, fondando civiltà e facendole prosperare, su un pianeta molto più fresco di quello in cui ancora scorrazzavano i dinosauri, 66 milioni di anni fa.
Ma potremmo fare un viaggio indietro nel tempo anche più breve, 3 milioni di anni, nel Pliocene. Ci troveremmo in una fase di questa epoca che corrisponde allo strato geologico chiamato Piacenziano, dal nome della provincia di Piacenza. Qui, nel territorio di alcuni comuni collinari, sono stati scoperti fossili che risalgono a quell’epoca. Balene e altri animali che sguazzavano nel mare che ricopriva la pianura padana. Faceva più caldo di oggi. Le temperature erano più alte di quelle attuali, di soli 2 o 3 gradi centigradi (“ma che vuoi che sia un grado in più?”). Così come il livello dei mari, una ventina di metri in più.
Ebbene, in uno scenario di emissioni di gas serra intermedio, quello in cui più o meno siamo oggi (non catastrofico, ma nemmeno ideale), noi potremmo ritrovarci in un clima pliocenico in appena un paio di secoli. Tra un minuto, dal punto di vista geologico.

Da ciò segue un’altra considerazione della marmotta: il problema non è solo che la Terra si riscalda, ma anche, e soprattutto, la rapidità con cui lo fa. L’anno scorso è uscito uno studio che ricostruisce la temperature degli ultimi 485 milioni di anni che ha confermato il ruolo chiave della CO2 come manopola del clima. Non è necessario ribadire quanto torto marcio hanno i negazionisti, ma questo studio lo fa. I suoi autori danno risalto anche a un altro fatto importante e, mi spiace, inquietante: diversi rapidi cambiamenti climatici del passato hanno coinciso con estinzioni di massa. “Rapidi” in termini geologici, ma meno rapidi di quello che abbiamo innescato noi umani con il carbone, il petrolio e il gas.
Direi che le considerazioni della marmotta possono finire qui, ne ho fatte già abbastanza.
È tutto noioso, ripetitivo, me ne rendo conto, del resto è da appena 50 anni che gli scienziati parlano, avvisano, allarmano, avvertono.
Mezzo secolo della marmotta.
I meno distratti tra di voi si saranno accorti che questa newsletter non usciva da quasi due mesi. Il titolare non porta giustificazioni. Da questa settimana si riprenderà con una periodicità più o meno quindicinale. Arrivederci.